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La farmacologia nei Disturbi Generalizzati dello Sviluppo

 

A cura della Dott. Paola Visconti

 


Nel vasto capitolo dei Disturbi Pervasivi di Sviluppo (sindromi autistiche e condizioni cliniche collegate) (DPS), gli studi sul versante farmacologico sono ancora pochi e molto raramente di tipo controllato; ciò appare dovuto alla scarsità di conoscenze tuttora presenti riguardo all’eziologia o anche solo ai meccanismi fisiopatogenetici implicati. In questo ambito della patologia neurologica, infatti, solo nel corso dell’ultimo decennio la scienza medica ha orientato i propri studi in senso genetico-biologico ed i progressi sono ben più "primordiali" rispetto alle epilessie ed alle malattie neuromuscolari. Fattori genetici risultano fra le ipotesi maggiormente accreditate sul versante eziologico (Maestrini et al., 2000) sia a seguito di studi su gemelli che per l’alta incidenza della patologia fra fratelli di un bimbo affetto (50-100 volte superiore alla popolazione normale) (Rutter, 1999). Il modello poligenico esistente postula attualmente un numero differente di geni interagenti fra loro (da un minimo di 10 ad un massimo di 15) con effetti diversificati (Risch et al., 1999). I cromosomi sui quali trovano maggiore accordo i vari studi sono rappresentati dal 7, 15 e dal cromosoma X, sul quale ci si è focalizzati inizialmente anche in ragione della maggiore incidenza del disturbo nei maschi rispetto alle femmine (4:1). Studi di linkage hanno identificato una regione relativamente ampia del cromosoma 7 (7q31-35) che risulta coinvolto anche in alcuni disturbi specifici di linguaggio (International Molecular Genetic Study of Autism Consortium, 1998) gettando pertanto un ponte fra queste due patologie che non solo si possono ritrovare in fratelli, ma anche nello stesso soggetto in momenti diversi della vita, oltre a rappresentare una necessaria diagnosi differenziale. Il coinvolgimento del cromosoma 15 (15q11-q13) si riscontra anche in altre patologie quali Angelman e Prader-Willi, che, sebbene presentino un quadro fenotipico differente, risultano accomunate dal ritardo mentale e dai disturbi comportamentali, oltre a frequenti anomalie EEG (Gurrieri et al., 1999). Grande attenzione ha attratto recentemente la scoperta della mutazione del gene MECP-2 sul cromosoma X fino all’80% delle bambine con tipica sindrome di Rett (Amir e Zoghbi, 2000), anche se tale mutazione non sembra esclusiva di tale patologia ma va ricercata anche in casi con sindrome di Angelman, encefalopatie neonatali ad origine sconosciuta ed persino lievi forme di disturbi di apprendimento. Circa i possibili meccanismi fisiopatogenetici potenzialmente correlati alla ricerca genetica una parte importante sembra spettare alle eventuali mutazioni del gene della Relina, che gioca un ruolo fondamentale nella migrazione neuronale durante lo sviluppo cerebrale (Persico et al., 2001).


Vari sono stati gli approcci farmacologici proposti sia per i problemi comportamentali associati, che spesso risultano in primo piano nella vita quotidiana, sia nel tentativo di andare ad influire sul nucleo della sintomatologia autistica: isolamento e riduzione delle condotte  interattive e comunicative. La maggior parte delle esperienze terapeutiche per lo più proviene dagli Stati Uniti, dove indagini epidemiologiche attestano che trattamenti farmacologici vengono utilizzati in circa il 50% delle persone con "Autismo" di qualsivoglia età (Baghdadli et al., 2002) e riguarda terapie farmacologiche sintomatiche, limitate e ristrette al contenimento dei problemi comportamentali e, più spesso, su soggetti adolescenti ed adulti, molto più raramente su bambini sotto i 5 anni di età. Altro elemento da considerare è rappresentato dal ritardo mentale associato: soggetti autistici con ritardo mentale medio o grave assumono farmaci con frequenza tripla rispetto a quelli senza ritardo mentale o con ritardo mentale lieve (Masi et al., 1999). Altro elemento di rilievo nella difficoltà all’uso di farmaci in questi soggetti è dato dall’ampia variabilità clinica delle persone affette e quindi la possibilità che un farmaco risultato efficace in un soggetto non lo sia per un altro, o addirittura peggiori la situazione o determini la comparsa di effetti collaterali.


I farmaci più studiati riguardano l’ampio gruppo dei Neurolettici Atipici ed in particolare il Risperidone (McCracken et al., 2002) su cui troviamo anche studi in doppio cieco, preferito per la minor evidenza di effetti collaterali quali sedazione e manifestazioni distoniche o parkinsoniane, oltre alla discinesia tardiva. Il razionale per l’uso di questi farmaci risiede nell’azione sul sistema dopaminergico, associata ad un’azione sul sistema serotoninergico che è risultato in più studi implicato nei DPS. Scarsi sono gli studi sugli altri neurolettici atipici, quali l’Olanzapina e la Clozapina, che sembrano avere maggiore effetto sui contenuti ideativi e sui rituali e potenziali buoni effetti su sintomi positivi quali aggressività ed agitazione, ma anche  effetti collaterali quali maggiore incremento del peso corporeo, rischio di leucopenia ed agranalucitosi, oltre ad un potenziale rischio epilettogeno. In caso di auto o eteroaggressività  è stato in passato consigliato l’uso del naltrexone, antagonista degli oppioidi endogeni, che però dopo iniziali entusiasmi attualmente non viene più utilizzato per la sostanziale mancanza di efficacia in questa direzione (Gillberg, 1995).


Riguardo al recente impiego degli SSRI (Inibitori Selettivi della Ricaptazione di Serotonina) (sertralina, fluvoxamina e fluoxamina) per lo più in soggetti ad alto funzionamento e con sintomatologia ossessiva o nei piccoli con un forte isolamento ed apatia, il razionale per il loro impiego riporta all’ipotesi serotoninergica. La loro efficacia è stata testata quasi prevalentemente in studi in aperto e manca uniformità nei risultati. In alcuni casi il loro uso è coinciso con miglior comportamento sociale e riduzione delle condotte stereotipe; tuttavia in altri casi è stato osservato un effetto "attivante" con aumento dell’ipercinesia, dei disturbi del sonno, e di agitazione, pur permanendo i buoni effetti negli apprendimenti e nel comportamento interattivo (Masi et al.,1999) In questo gruppo sono pertanto preferibili sertralina e fluvoxamina che sembrano dotati di minore azione "disinibente" (esperienza personale).


Per i disturbi del tono dell’umore, spesso presenti nei pazienti autistici con miglior livello intellettivo e con sospetta patologia bipolare, si può ricorrere anche alla somministrazione di carbamazepina, del valproato di sodio o di magnesio o di lamotrigina. Questi farmaci hanno anche il vantaggio di trattare le crisi epilettiche e di attenuare le anomalie parossistiche sull’EEG qualora il paziente presenti questa sintomatologia che, peraltro, ricorre in circa un quinto dei soggetti con DPS. La lamotrigina ha anche la caratteristica di produrre un miglioramento delle capacità attentive (Di Martino e Tuchman, 2001).


 Fra gli altri  trials utilizzati (non facenti parte del gruppo degli "psicofarmaci"), anche per la supposta relativa innocuità, va menzionata la vitamina B6 associata a magnesio, che ha mostrato in studi in aperto effetti positivi sui problemi di comportamento e nell’attenzione agli apprendimenti (Giovanardi Rossi et al., 1992); tuttavia non tutti gli autori ne hanno confermato l’efficacia a lungo termine e/o rispetto al placebo e attualmente è in corso un protocollo per una revisione

sistematica su questo trattamento (Nye e Brice, 2002). Riguardo all’uso della Secretina il suo largo utilizzo e l’ampia pubblicità sono dovuti alla divulgazione operata dai mass media su "drammatici" effetti insorti dopo infusione di questa sostanza come test di stimolo a fini diagnostici in un bambino autistico con sintomi gastrointestinali: rapido miglioramento del linguaggio e delle abilità sociali. Studi controllati in doppio cieco, ripetuti in seguito, hanno escluso significative differenze rispetto al placebo (Carey et al., 2002). Tuttavia qualche studio, sempre in doppio cieco con placebo, ha indicato una potenziale efficacia in un sottogruppo specifico di bambini autistici affetti anche da diarrea cronica a confronto con bambini autistici privi di sintomi gastrointestinali (Kern et al., 2002). 


A fianco di studi mirati al farmaco, altri contemporaneamente hanno suggerito un ruolo significativo da parte della dieta priva di latte e glutine. Un’interessante ipotesi in questo senso è rappresentata dalla teoria sull’eccesso di oppioidi (Reichelt et al., 1993) che propone una incompleta metabolizzazione ed un eccessivo assorbimento a livello intestinale di peptidi derivati dal glutine e dai prodotti caseari. Questi peptidi eserciterebbero poi un effetto a livello del sistema nervoso centrale tipo oppiacei sia direttamente (per una maggiore permeabilità di barriera) sia legandosi alle peptidasi che catabolizzano gli oppioidi endogeni, inducendo una disregolazione del sistema endogeno di endorfine ed encefaline. Alcuni studi in aperto riportano un miglioramento, descritto dai genitori ed insegnanti, sul versante sociale, sull’attenzione e sull’iperattività (Knivsber et al., 2001). Tuttavia, si attendono conferme da parte di studi con casi controllo e in doppio cieco.
E’ stato, infine, ipotizzato che anomalie di produzione di ossitocina e vasopressina possano contribuire allo sviluppo dei comportamenti ripetitivi e dei deficit sociali che si ritrovano nell’autismo ed una recente ricerca riporta la netta diminuzione di ossessività e altri comportamenti stereotipati dopo trattamento con ossitocina su 15 soggetti con autismo  a confronto con placebo  (Hollander et al., 2003). 


Tutti questi studi, purtroppo, non hanno portato grandi risultati, per cui allo stato attuale l’intervento farmacologico continua ad essere scarsamente mirato e prevalentemente deputato al controllo dei disturbi comportamentali spesso associati ai DPS, quali aggressività, sia auto che etero, agitazione, iperattività, ossessività e compulsioni.


Bibliografia Interventi Farmacologici


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Redazione a cura di Clara Turchi