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Caratteristiche cliniche Generali


Riadattato da Visconti P. (a cura di) (2001), Il mondo di Alessandro, Roma, Phoenix Editrice.
 

 

Caratteristiche cliniche: la triade
Dopo la pubblicazione del DSM III-R (1987), a seguito della rivoluzione concettuale iniziata fin dal 1964 con la pubblicazione del libro Infantile Autism di Bernard Rimland, psichiatra americano e padre di un ragazzo autistico che oggi ha circa 40 anni, non si parla più di psicosi. Tale patologia presuppone infatti un' alterazione del pensiero e del contatto con la realtà. Nell'autismo non vi sono allucinazioni, deliri o alterazioni della coscienza. Abbiamo pertanto a che fare con l'ambito dei Disturbi Pervasivi dello Sviluppo. Il disturbo è presente fin dalla nascita, anche se si manifesta in epoca più tardiva, ed è strettamente collegato allo sviluppo del bambino in cui si manifesta una disorganizzazione cerebrale.
Lo sviluppo risulta pertanto gravemente compromesso, sia per l' esordio precoce del disturbo, sia perchè tre sono le aree principalmente danneggiate: la comunicazione, le relazioni sociali, il pattern di interessi e di gioco (la cosiddetta triade), ossia le aree che maggiormente distinguono e fondano l' essere umano in quanto tale. La prova di questa affermazione è fornita dai soggetti autistici più dotati, che non mancano di intelligenza e che si muovono in maniera autonoma nella nostra società, ma che risultano dei "diversi", dei "marziani". È quanto osserva Oliver Sacks dopo aver intervistato Temple Grandin, un'autistica con quoziente intellettivo superiore a 130, docente universitaria di strutture architettoniche per animali ma completamente ignara delle comuni regole sociali e dei comuni modi di sentire o di provare emozioni e ricordi. Eppure la stessa Grandin ci informa della sua tristezza per il suo "non capirci" e per il suo sentirsi diversa "fuori dal gruppo" che, come è noto, aiuta e infonde sicurezza.
 
Il disturbo delle interazioni sociali
Un tratto comune a tutti gli autistici è la "fatica a calarsi nei nostri panni" (primo elemento della triade). Questi soggetti funzionano in modo diverso dal nostro sul versante psicologico, anche se avvertono i sentimenti come noi. Gioiscono se vengono gratificati, si arrabbiano se sono presi in giro o se non comprendono la situazione, sono affezionati ai loro genitori o a chi si prende cura di loro, soffrono se li si lascia. Ma non hanno le nostre stesse modalità di manifestare i sentimenti e "apparentemente" risultano freddi e distaccati. Vogliono o vorrebbero entrare in contatto con gli altri ma non sanno come fare.
Si suppone spesso che i bambini autistici si rifiutino di avere rapporti e relazioni con gli altri. Sono giudicati degli antisociali. Pensiamo però alla complessità dei rapporti umani, a quanto noi "normali" ci sforziamo - chi più, chi meno - di rispettare le regole sociali, i consueti atti di gentilezza, i turni nel parlare, le modalità di gioco che aiutano sia gli adulti che i bambini a far parte di un gruppo. Quante volte ci sentiamo a disagio in un ambiente nuovo e ci sforziamo di capire i pensieri e le abitudini degli altri? Malgrado siamo dotati di un senso del sociale innato che si è ulteriormente affinato nel tempo, nella maggior parte dei casi dobbiamo sforzarci di sorridere e di adeguarci a ciò che ci è estraneo. Proviamo a immaginare quanto deve essere complicato per i piccoli "marziani" mettersi nei nostri panni; essi sono biologicamente sprovvisti di questa capacità e non hanno mai avuto modo di esercitarla negli anni. Per gli autistici tutto è sempre una novità.
 
Una possibile ipotesi neurofisiologica
La ricercatrice statunitense Geraldine Dawson ha ipotizzato che nei casi di autismo sia carente il fenomeno dell' abitudine. Dopo varie ripetizioni dello stesso stimolo - che sia uditivo, visivo, tattile, ma in ogni caso a valenza sociale - il nostro cervello non reagisce più mettendosi in stato di allerta ma impara a gestirlo facendone bagaglio nel patrimonio delle esperienze. In una parola, apprende e mette a propria disposizione un ricordo che potrà rielaborare o richiamare alla memoria.
Per gli autistici sarebbe tutto più complesso. Il processo si compirebbe normalmente per quanto attiene alle esperienze percettive semplici, ma sarebbe pressoché impossibile per gli stimoli sociali, che possono andare dalle forme più semplici quali la ricerca di uno sguardo o di un sorriso o l'attenzione per un medesimo oggetto, alle forme in cui sono in causa il linguaggio o segnali sociali più ambigui, quali un gesto di compassione, un moto di sorpresa o di tristezza, l' ironia o il sarcasmo. I bambini autistici si ritroverebbero pertanto in un costante stato di "ipervigilanza" o ipereccitazione, che non permetterebbe loro di avere una conoscenza percettiva stabile delle varie situazioni e la loro comprensione del mondo sarebbe inevitabilmente frammentata. Fin dall' inizio fallirebbe un processo che normalmente si attua fra i genitori e il bambino.
Di norma nel primo anno di vita del bambino i genitori ripetono in maniera fisiologica e inconsapevole quanto il figlio esprime, per poi rimandarglielo con ritmi lenti ed enfatizzando il significato del messaggio trasmesso, per dar modo al piccolo di avere un feedback dei segnali sociali che emette; in tal modo si creano le basi dell'attaccamento e l'evolversi della reciprocità sociale, requisito-base dell' intersoggettività. I genitori dei bambini autistici spesso ripetono invano questi tentativi. Il ricercatore inglese Hobson riferisce di un filmato che mostra la madre di due gemelli, uno dei quali si è poi rivelato autistico, intenta a giocare con entrambi. Mentre con il bambino sano c'è un normale contatto oculare, con quello autistico si notano fin dall'inizio delle difficoltà: il bambino devia lo sguardo e non aggancia il contatto quando la madre si rivolge a lui. Tutto ciò dura per un paio di mesi, dopo di che la madre inconsapevolmente non insiste oltre e rivolge la sua attenzione, non le sue cure, al bambino che le dà risposta.
 
Un'ipotesi neuropsicologica
Sempre sul versante patogenetico, nella "teoria della mente" di Baron-Cohen e Utah Frith viene specificamente ipotizzato un deficit cognitivo in un' abilità che si formerebbe in maniera completa dopo i tre anni. I bambini normali sviluppano fin dal primo anno di vita la capacità di rappresentare nella propria mente le esperienze sociali vissute nell'interazione con i genitori; successivamente acquisiscono la capacità di "empatia", cioè riescono a pensare a quello che pensano gli altri. È una capacità fondante e di quotidiana applicazione nei rapporti umani. La maggior parte del nostro agire sociale è basata su ciò che gli altri sanno e si aspettano o sui segnali sociali "convenzionali" che inviano. Chiaramente, tutto ciò non implica una presunta obbligata uniformità al gruppo o una mancanza di libertà di scelta nel momento in cui decidiamo di sottrarci a qualche "regola non scritta". Il problema dell' autistico risiede proprio in questa impossibilità di scelta, nella sua rigidità, che ne fa nel migliore dei casi un discreto imitatore delle nostre abitudini sociali, ma pur sempre goffo e inadeguato. Ricordiamo alcune frasi di Alessandro (un bambino autistico high-functioning, n.d.a.): "Io da grande farò l operaio edile, perchè gli operai edili si svegliano molto presto e aggiustano le tegole", "A sedici anni avrò una Citroen AX blu e indosserò una giacca da uomo marrone" : pensieri semplici, che raccontano normali aspirazioni di un bambino, ma anacronistici per un ragazzino di 12 anni e soprattutto stereotipati e molto ancorati a fatti o dati percettivi (i colori blu e marrone). Poco ci è dato sapere delle sue emozioni.
 
Le diverse tipologie sociali
Dal punto di vista clinico-sintomatologico, sul versante sociale si possono riscontrare diverse tipologie, come hanno illustrato le due ricercatrici inglesi Lorna Wing e Judith Gould. Il comportamento in ambito sociale può essere rappresentato da un continuum: si va da situazioni che possono essere ritenute di autismo classico, con il caratteristico ritiro e il ripiegamento su se stessi (alone), a situazioni in cui il bambino è passivo e si lascia coinvolgere senza mai prendere l' iniziativa (passive), ad altre in cui il bambino è attivo e ricerca maldestramente, ma non adeguatamente, il contatto (active but odd). È il caso di quei bambini, tra cui Alessandro, che fanno continuamente le stesse domande anche se ne conoscono perfettamente la risposta, dei bambini che annusano gli altri o si mettono di schiena o tirano qualcosa addosso per attirare l'attenzione. Queste tipologie possono cambiare e confondersi nel tempo durante la crescita. È ovvio che per ogni caso bisognerà scegliere la strategia di intervento più adeguata e che un possibile cambiamento a seguito di particolari interventi andrà valutato anche alla luce di un passaggio fisiologico da una tipologia a un' altra.
Alla luce di quanto detto finora, dopo essere partiti dalla definizione degli autistici come antisociali, freddi, distaccati, isolati, possiamo forse più correttamente definirli "asociali", poiché fondamentalmente sembrano poco consapevoli della realtà che si muove intorno a loro.
 
I disturbi della comunicazione
Secondo elemento caratteristico della triade dei sintomi autistici è la difficoltà/anomalia della comunicazione. È preferibile parlare di comunicazione piuttosto che di linguaggio per il fatto che, nel continuum dei quadri clinici ascrivibili all' autismo, il livello delle abilità linguistiche può essere molto difforme: si va da situazioni in cui è completamente assente (il 50% dei casi) a situazioni in cui è rappresentato da vocalizzi, lallazione, parole-frasi, frasi semplici, fino ai casi nei quali la strutturazione è indenne, il vocabolario è ricco ma manca specificamente la pragmatica e la reciprocità dell'intenzionalità comunicativa. Questi casi sono quelli più evoluti, i cosiddetti high-functioning o Asperger, in cui a maggior ragione, vista l'integrità delle competenze espressive, emergono maggiormente l' atipicità, la rigidità e la scarsa abilità comunicativa che contraddistinguono l' autismo.
Tipica di questi casi è l'inversione pronominale, con l'uso della seconda o terza persona al posto della prima. Ciò in passato ha fatto ipotizzare una non chiara distinzione da parte del bambino fra sé e gli altri. Oggi, almeno stando ad alcune prove sperimentali, questa ipotesi sembra confutata, giacche "i soggetti autistici sembrano in grado di riconoscere e usare i nomi propri nel modo corretto; la loro difficoltà risiederebbe piuttosto nei ruoli assunti nella struttura della conversazione. In effetti il pronome io non sembra necessario ai fini della comprensione di ciò che sta dicendo chi parla, serve ad indicare che sta parlando" (Jordan, 1989). E ormai abbiamo chiaro come per l' autistico ciò sia di scarsa importanza, visto che non riesce a mettersi nei panni altrui.
Altre particolarità che riscontriamo sono indici di atipicità e di deficit di pragmatica, ossia della capacità di adeguare le proprie azioni, il linguaggio e gli intenti sociali all' ambiente circostante. Tali capacità richiedono una dose notevole di empatia e di comprensione sociale. Un esempio tipico è quello delle domande: nel caso dell' autistico si tratta di domande ripetitive, che rappresentano un arduo terreno comunicativo poiché quasi sempre sottendono altro rispetto alla domanda in sè e il più delle volte presuppongono una conoscenza del contesto e delle intenzioni dell' altro, oltre a costituire, come spesso succede, un modo di comunicare semplice e immediato che attira subito l' attenzione.
Un altro esempio è la comprensione letterale: gli autistici non riescono a capire le figure retoriche, le frasi idiomatiche, le metafore, il sarcasmo. È un'incapacità dovuta all'impossibilità di immaginare i pensieri e le intenzioni altrui. Visto il loro attaccamento ai dati percettivi, qualcuno ha definito questi bambini "iperrealisti". A ragione quindi, Dustin Hoffmann nel film Rain man risponde "umido" quando Valeria Golino prima lo bacia e poi gli chiede come è stato.
Nella quasi totalità dei casi si riscontra l'ecolalia, sia di tipo immediato che differito. Recentemente si è riconosciuto a questo tratto un qualche intento comunicativo, anche in ragione del fatto che l' ecolalia differita progredisce di solito lungo un continuum di comunicatività, con o senza un intervento educativo. Nello sviluppo normale del linguaggio è presente uno stato fisiologico di ecolalia che il bambino mette in atto nell'affrontare un probabile sovraccarico comunicativo e una mancata comprensione di quanto gli viene detto. Tutto ciò adempie a una funzione di rielaborazione. È probabile che anche nel bambino autistico sia presente un processo di analisi e di ricombinazione che favorisce l' articolazione di nuove frasi; ma è anche possibile uno stato di agitazione o una quantità eccessiva di stimoli verbali-sociali che obbliga il soggetto a una ripetizione afinalistica.
 
Il ristretto pattern di interessi e la scarsità di attività immaginativa e di gioco
Per completare la triade della sintomatologia autistica ci occupiamo delle attività immaginative e di gioco.
Tipici dell' autismo sono una forte povertà di interessi, interessi ossessivi e stereotipati, carenza di gioco simbolico e di attività immaginativa. Questo non vuol dire che i bambini autistici non siano in grado di giocare, ma che il gioco del "far finta di" non si sviluppa spontaneamente e se insegnato rimane limitato ai modelli illustrati.
Nell' ambito del gioco e della sottostante capacità creativa - immaginativa, vanno sempre tenute presenti le difficoltà di base degli autistici, intendendo con questo non una specifica eziologia bensì le loro caratteristiche neuropsicologiche, la cui conoscenza può far da ponte fra le cause biologiche, ancora non ben approfondite, e i comportamenti o i sintomi che riscontriamo nella quotidianità. Senza tali informazioni e conoscenze, gran parte dei comportamenti ci appariranno immotivati, apparentemente incomprensibili e soprattutto non sarà possibile impostare un trattamento riabilitativo specificamente centrato sull' ?abilitazione? e sull'insegnamento di tali competenze.
Il gioco simbolico comincia a svilupparsi nel bambino a partire dai 18 mesi per proseguire poi in forma sempre più complessa e articolata. Perché ciò avvenga è necessario che il bambino abbia la capacità di rappresentarsi cose, azioni e situazioni; in una parola, di "captare" la realtà circostante. Tutto questo è legato alla capacità di ognuno di noi di leggere l'esperienza che lo circonda, capacità che si acquisisce primariamente attraverso quanto ci viene comunicato e trasmesso dai genitori, non solo a livello verbale ma innanzi tutto a livello emotivo-affettivo.
 
Ipotesi neuropsicologiche
Nei casi di autismo l'inglese Hobson ipotizza, così come Kanner agli esordi, un deficit biologico di base nei sistemi che regolano l' affettività. Il bambino autistico, non essendo in grado di percepire le emozioni altrui, non riesce a condividere con gli altri esseri umani la visione del mondo da cui differenziare la propria. Il senso del significato del mondo deriva al bambino dai primi significati condivisi, per cui un disturbo al primissimo livello emozionale porterà difficoltà cognitive che riguardano l' attività immaginativa, la comunicazione e la comprensione degli stati mentali (Jordan e Powell, 1997).
A differenza di Baron-Cohen e Utah Frith che hanno elaborato la "teoria della mente", Hobson sposta la sua attenzione su un periodo più precoce dello sviluppo e su un versante emotivo, senza tuttavia che questo significhi tornare alle vecchie teorie di stampo psicogenetico. La ricerca di routine e l' ossessività di cui Alessandro è interprete magistrale sono, secondo l' interpretazione di Hobson, una ricerca di punti fermi e di prevedibilità, elementi indispensabili in un mondo purtroppo non interpretabile e, specie sul versante sociale, di difficile decodifica.
 
I sintomi associati alla triade
Altri aspetti che si riscontrano negli autistici vanno dal ritardo mentale ai disturbi sensoriali di tipo uditivo, tattile o visivo: non sono veri e propri deficit, ma alterazioni molto particolari. Temple Grandin ricorda come per lei sia difficile filtrare i rumori dell' ambiente quando ascolta una telefonata, sopportare il contatto con i tessuti o anche il contatto con la pelle dovuto a una carezza o a un abbraccio.
Le difficoltà di apprendimento sono presenti in una forte percentuale di casi (circa il 70%), anche se per lungo tempo sono state misconosciute a causa della prima descrizione di Kanner, che supponeva che gli autistici fossero intelligenti poiché si basava sullo sguardo attento, penetrante, e forse anche sul loro bell'aspetto.

Le isole di abilità
Un altro fattore che rende difficile una diagnosi e che spesso disorienta i genitori è costituito dalle "isole di abilità", magistralmente interpretate da Dustin Hoffmann nel film Rain man. Come ipotizzare capacità cognitive limitate in un soggetto che sa contare contemporaneamente sei mazzi di carte o che si ricorda di tutti gli incidenti aerei? Il film Rain man, benché adattato e romanzato per esigenze cinematografiche, si è avvalso della collaborazione dei più grandi esperti americani di autismo, tra i quali Rimland e Ritvo, e le incredibili capacità del protagonista sono il risultato dell' accostamento di varie "isole di abilità" presenti in più soggetti autistici dotati. Alessandro, per esempio, ha incredibili capacità con la matematica e con le date, pur non riuscendo a volte a compiere banali operazioni logiche di tipo astratto o non sapendo maneggiare il denaro.
Una valutazione esatta e articolata delle specifiche abilità cognitive degli autistici aiuta moltissimo nell' elaborazione di un progetto educativo, e fornisce fin dall' inizio un' ottima informazione prognostica. Sappiamo infatti che i bambini con un quoziente intellettivo alto hanno un' evoluzione più positiva e necessitano di minor aiuto assistenziale.

 



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Redazione a cura di Clara Turchi