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COMUNICAZIONE FACILITATA
Sintesi a cura del Gruppo di Redazione

 

COMUNICAZIONE FACILITATA
Griglia integrale a cura
 della Dott.ssa Laura Giunchi
Laureata in Scienze dell’educazione

 

Sintesi dalle Linee Guida

 

Bibliografia

 

 

 


Che cos’è e cosa si propone
La comunicazione facilitata si colloca all’interno delle strategie di comunicazione aumentativa alternativa. Con essa si intendono forme di comunicazione che sostituiscono, integrano o aumentano il linguaggio verbale orale.
L’allenamento alla comunicazione facilitata consiste nello sviluppo di abilità comunicative attraverso l’indicazione con il sostegno di un partner o facilitatore. Il facilitatore fornisce al soggetto facilitato un supporto fisico, cioè un aiuto nello stabilizzare il braccio o nell’isolare il dito, ma soprattutto fornisce un supporto emotivo alla persona.
Si propone di: sviluppare abilità comunicative; migliorare l’organizzazione del pensiero; permettere al soggetto di partecipare alla vita sociale; esprimere scelte, fare richieste, anche legate alla quotidianità; sviluppare il massimo livello possibile di autonomia comunicativa e di pensiero; promuovere l’integrazione tra il soggetto e la realtà.

 

Su che cosa si basa 
Il concetto di facilitazione utilizzato in questa sede viene inteso come un semplice contatto da parte del facilitatore e si esplica con un tocco o con una presa. La comunicazione facilitata può essere applicata a soggetti che presentano due specifiche condizioni di facilitabilità: disturbi delle funzioni esecutive e disturbi della funzione linguistica. Pertanto, per accedere alla tecnica viene effettuata una valutazione del linguaggio verbale e della capacità di indicare. Sono considerati candidati all’uso della tecnica i soggetti il cui linguaggio verbale è limitato, incoerente o assente e la cui abilità di indicare in autonomia non è realizzabile coerentemente. La comunicazione facilitata si basa, inoltre, sulla convinzione di fondo che le difficoltà comunicative dei soggetti facilitati siano di natura espressiva e non cognitiva e che quindi essi posseggano capacità intellettive ed un mondo interiore molto più sviluppato rispetto a quello fino a ora stimato dai test di valutazione applicati.

 

Come viene applicato
Per poter avviare la facilitazione è necessario stabilire una relazione di fiducia e di chiarezza contrattuale con il soggetto. Per quanto riguarda l’aspetto motorio, è importante identificare la mano che il soggetto utilizza per indicare e la quantità di supporto fisico necessario. Inizialmente il training prevede un lavoro strutturato, basato su risposte semplici e prevedibili; solo successivamente si giunge ad una conversazione aperta e spontanea attraverso una tastiera di carta, di un computer o di una macchina da scrivere. La tecnica prevede che il facilitatore non guidi il facilitato nella scelta, ma piuttosto che aiuti il soggetto a stabilizzare il movimento e, in alcuni casi, effettivamente rallenti la mano del persona facilitata per superare specifiche difficoltà fisiche.

 

Chi lo pratica, in quali contesti
Uno degli obiettivi prioritari di un progetto di comunicazione facilitata vuole essere quello di generalizzare tale competenza in più contesti e con più facilitatori, al fine di consentire alla persona facilitata di raggiungere il massimo livello possibile di autonomia. La comunicazione facilitata va intesa come un intervento che si attua all’interno di un ?lavoro di rete?.

 

Chi ha lavorato, in quale anno, in quale paese, in quale ambito
La comunicazione facilitata è stata messa a punto ufficialmente solo alla fine degli anni settanta da una pedagogista australiana, Rosemary Crossley, presso il St. Nicholas Hospital di Melbourne, un istituto per bambini e adolescenti colpiti da paralisi cerebrale. Nel 1989 Douglas Biklen, professore di Pedagogia Speciale presso l’Università di Syracuse, nello Stato di New York, visitò il Centro DEAL. Il lavoro lo interessò a tal punto che decise di importare la comunicazione facilitata anche negli Stati Uniti e di avviare uno studio sull’applicazione di tale tecnica su alcuni soggetti autistici. La comunicazione facilitata si diffuse in Francia nel 1992 con Anne-Marguerite Vexiau, ortofonista presso il Centro da lei stessa fondato l’EPICEA (Insegnamento Pratico e Informazione sulla Comunicazione con il Bambino Autistico). L’esperienza italiana risale, anch’essa, al 1992, quando un genitore di Genova, Patrizia Cadei, formata direttamente dallo stesso Prof. Biklen, decise di applicarla in prima persona al proprio figlio affetto da sindrome autistica.

 

A chi è stato rivolto
Inizialmente per soggetti affetti da paralisi cerebrale

 

Per quali fasce d’età
La comunicazione facilitata è indicata per un’ampio spettro di persone: a partire dai bambini, fino agli adolescenti e

agli adulti.

 

A quale tipo di patologia è stato allargato
La comunicazione facilitata, sviluppata inizialmente per supportare la comunicazione di persone con paralisi cerebrale, è stata successivamente estesa a soggetti che rientrano nella categoria dei disturbi pervasivi dello sviluppo, a soggetti con sindrome di Down, ritardo mentale.

 

Valutazione di effetti in diversi contesti
Con l’ausilio della comunicazione facilitata vengono riferiti miglioramenti nel linguaggio funzionale, nei tempi d’attenzione, nell’iniziativa motoria, nella capacità d’interazione e collaborazione, nella diminuzione di comportamenti stereotipati ed ecolalia.

 

Ripercussioni in ambito familiare, scolastico o altro
La comunicazione facilitata, assumendo il ruolo di "mediatore" tra il soggetto facilitato e il proprio ambiente sociale, restituisce identità e una nuova immagine al soggetto e permette ad esso di recuperare un ruolo "attivo" in famiglia, a scuola e in ogni ambito da lui frequentato.

 

Costi
L’applicazione della tecnica richiede ai facilitatori coinvolti un impegno costante nella formazione, negli allenamenti e nelle supervisioni. L’inserimento di un soggetto facilitato in un nuovo contesto, inoltre, rende necessaria la presentazione del caso e della tecnica a tutti coloro che vengono a contatto con esso. In ambito scolastico è fondamentale prevedere, a livello di programmazione, modi, tempi e strategie utili affinché il soggetto possa esprimere al meglio le proprie conoscenze. Per migliorare le abilità fisiche e le possibilità comunicative del facilitato può essere consigliato l’utilizzo di ausili quali tavolette, sintetizzatori vocali, tastiere.


Critiche
La comunicazione facilitata non ha ottenuto all’interno della comunità scientifica e professionale, un giudizio unanime rispetto alla sua validità. L’effetto prodotto ha aperto molti dubbi sull’efficacia della tecnica, per cui si suppone, (a prima vista), che vi sia un aiuto (anche se inconsapevole) e non una facilitazione nel raggiungere lo scopo. I dubbi aumentano, poi, se dall’indicare si passa all’attribuzione di una scrittura completa e corretta per il soggetto che viene facilitato.

 

Sintesi dalle Linee Guida IIS (Istituto Superiore Sanità, Ottobre 2011) a cura della redazione

"Ad oggi non ci sono dati per sostenere che i soggetti con autismo ricevono un aiuto nella comunicazione, ma ci sono invece dati che comprovano che la comunicazione è prodotta dal facilitatore. Proprio in considerazione delle implicazioni etiche sollevate da questi risultati rispetto all’integrità e alla dignità dei bambini e adolescenti con autismo, l’American psychological association ha approvato una risoluzione contraria all’utilizzo della comunicazione facilitata.Viene raccomandato di non utilizzare la comunicazione facilitata come mezzo per comunicare con bambini e adolescenti con disturbi dello spettro autistico." (Linea Guida ISS pag 64)

 

Bibliografia Comunicazione Facilitata

American Psycological Association (1995), A history of facilitated communication; Science, Pseudoscience and Antiscience, "American Psycologist", vol. 50, n.9, pp. 750-765.

Biklen D., Cadei P. e Benassi F. (1999), La comunicazione facilitata, Omega Edizioni.

Brighenti M., Teatin M. e Malaffo (2000), F., La facilitazione nei processi di comunicazione e nella costruzione del gesto nell’autismo. In M. Brighenti (a cura di), Autismo: lo stato della ricerca. Atti Convegno Nazionale, Centro Diagnosi Cura e Ricerca per l’Autismo di Verona.

Coppa M., Sartini C. e Orena E. (2003), Giudizi e pregiudizi sulla "comunicazione facilitata",  "Difficoltà di Apprendimento", vol. 8, n.3, febbr, pp.353-360.

Crossley R. e McDonald A. (1980), Annie’s coming out, Ringwood, Victoria, Penguin Books Australia Ltd.

Crossley R. (1994), Facilitated Communication Trainig, New York, Teachers College Press.

Green G. (1994), The quality of evidence. In H.C. Shane (a cura di), Facilitated communication: The clinical and social phenomenon, San Diego, CA, Singular Press, pp. 157-226.

Jacobson J.W., Mulick J.A. e Schwartz A.A. (1997), Comunicazione Facilitata: scienza, pseudoscienza, antiscienza, "Difficoltà di Apprendimento", vol.3, n.2, pp.183-207.

Schopler E. (1992), Editorial Commentary, "Journal of Autism and Developmental Disorders", vol.22, n.3, pp.337-338.

 


 



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Redazione a cura di Clara Turchi